domenica 1 dicembre 2013

Trasmettere la fede in famiglia


TRACCE  per gli  INCONTRI CON LE FAMIGLIE (Agorà 2009)

Il testo è stato elaborato, a partire dalla bibliografia indicata, come traccia di lavoro per la preparazione delle équipe, ma non deve essere integralmente riportato nell’intervento, che diversamente risulterebbe troppo lungo.

La parola di Dio
come riferimento principale è la 2° lettera a Timoteo (in particolare i versetti 1,5-11) da cui è stato tratto il motto degli incontri, ma anche tutte le altre letture che riprendono le testimonianze di fede:
MI RICORDO DELLA TUA FEDE SCHIETTA
Deut 6,2 ss                  Gs 24,16-18                Est 4,17                      1Gv 1,1-4

Il Magistero della Chiesa
Gaudium et spes 48
Lumen Gentium 11
Familiaris Consortio 15,21,26,28,36,37,38,39,55,59,60,61
Catechesi tradendae

Giovanni Paolo II, Omelia Festa della S.Famiglia, 1988

Benedetto XVI, Trasmettere la fede in famiglia,Valencia, luglio 2006
Benedetto XVI, Lettera alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, 2008
Card. Carlo Maria Martini, Celebriamo la fede in famiglia, Cittadella, 2008

Mons. Giuseppe Chiaretti
Leggere insieme la Bibbia, 1997
Pregare insieme in famiglia, 2005
Trasmettere la fede ai figli, 2007
Virtuosi e non virtuali, 2008
Omelia 19 ottobre 2008, Convegno regionale sulla famiglia

Archidiocesi di Perugia –Città della Pieve
Linee guida di pastorale familiare

Équipe
Introduzione con 2Tim 1,5-11
Argomentazione generale: il Battesimo e le domande primordiali
Significato del termine educare: non trasmettere conoscenze, ma portare un figlio a comprendere la vocazione a cui è chiamato
Insuccessi educativi: hanno come base la mancanza di certezze e di valori
Educazione: compito faticoso ma inderogabile dei genitori, guidati dall’Amore
Genitore cristiano guida i figli alle virtù cristiane
Come e cosa trasmettere? La fede. Spesso delega dei genitori ad altre agenzie educative (scuola, catechisti ecc.)
La fede va trasmessa in famiglia perché non è un contenuto ma un’esperienza. Si dona un modo di vivere
Famiglia chiesa domestica (difficoltà,amore, perdono)
Trasmettere la fede = gettare un seme di eternità
Famiglia cristiana non obbligo ma segno per la società.


Che cosa significa oggi educare? educare ai valori e alle virtù cristiane?che cosa significa trasmettere la fede? E come si fa?
Per il mondo della cultura alla parola “educare” viene attribuito spesso il significato che ha lasciato l’illuminismo; per questa corrente filosofica che ha dominato la cultura negli ultimi due/tre secoli della storia europea e mondiale educare significa trasmettere delle conoscenze, dei contenuti universalmente validi. Ci sono contenuti che lo studente deve imparare, c’è qualcuno, maestro o genitore che conosce e trasmette all’altro le sue conoscenze e per comunicarle in modo efficace deve conoscere il processo evolutivo della persona. Ma l’educazione non si può ridurre alla comunicazione, educare è essenzialmente e-ducere cioè tirare fuori da ogni figlio un capolavoro di natura e di grazia, salvaguardando l’innata dignità e libertà di ognuno. E’ oggi questa l’emergenza primaria e inderogabile, la “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita e alla cui radice troviamo la mancata trasmissione di certezze e di valori, in ultima analisi, una crisi di fiducia della vita. Non parliamo solo di educazione cristiana ma anche di educazione umana, c’è infatti una crescente difficoltà nel trasmettere alle nuove generazioni i valori base dell’esistenza e di un retto comportamento e quel che si dice dei processi educativi dell’umano deve dirsi ancora di più dello spirituale e del religioso.
Educare ai valori e virtù cristiane
L’educazione è certamente una grande fatica ma è anche un grandissimo compito che affonda le radici nella primordiale vocazione dei coniugi a partecipare all’opera creatrice di Dio. Generando nell’amore e per amore una nuova persona i genitori si assumono il compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana. Si tratta di un diritto/dovere essenziale connesso alla trasmissione della vita, originale e primario rispetto al compito educativo di altri per l’unicità del rapporto di amore che c’è tra genitori e figli è l’amore quindi che guida e sorregge tutta l’azione educativa e che genera nei figli fiducia e senso di responsabilità, anche nelle esperienze di sofferenza che non vanno eliminate come oggi si tende a fare, perché la sofferenza fa parte della verità della vita. Cercare di tenere al riparo i giovani dalle difficoltà si rischia di far crescere persone fragili e poco generose. Insieme ai frutti dell’amore: dolcezza, costanza,bontà, spirito di sacrificio, disinteresse l’anima dell’educazione è la speranza cristiana, una speranza, che pur essendo insidiata da molte parti, se si affida a Dio diventa speranza per gli altri, Una vera educazione indirizza i figli alla verità e al bene, soprattutto a quella verità che può essere guida nella vita. Così accanto all’educazione ai valori essenziali della vita umana, i genitori sono chiamati a educare i figli alle virtù cardinali cristiane:
-   prudenza [= discernimento; virtù che dispone l'intelletto all'analisi accorta e circostanziata del mondo reale circostante e esorta la ragione a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene, scegliendo i mezzi adeguati per compierlo],
-  fortezza [= coraggio; virtù che, nella difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene],
-  giustizia [la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto] e
-  temperanza [= dominio di sé; virtù che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati],
che non sono moralismi antiquati (ne hanno parlato fior di filosofi non cristiani basti pensare a Platone!) ma le strutture portanti dei comportamenti umani; da essi derivano infatti: obbedienza, pazienza, onestà, lealtà, magnanimità, sobrietà, umiltà, perseveranza.
Poiché il rapporto educativo è sempre un incontro tra due libertà, l’educazione ben riuscita è la formazione ad un retto uso della libertà trovando un giusto equilibrio tra libertà e disciplina. Senza regole di comportamento e di vita fatti valere con autorevolezza a partire dalle piccole cose di ogni giorno, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che fanno parte della esistenza umana.
Trasmettere la fede: che cosa trasmettere? come trasmettere oggi perché i figli possano identificare “la Voce” tra tante voci?
Insieme al compito grandissimo di formare persone libere e responsabili i genitori hanno quello di trasmettere la fede. Infatti essi sono per i figli non solo i primi responsabili dell’educazione ma i primi annunciatori della fede in particolare hanno la missione di educarli alla fede cristiana.
Spesso oggi accade che si può trasmettere la fede nelle varie fasi della vita, come un contenuto qualsiasi (come spiego la matematica così spiego il credo religioso). Ma non è proprio così, anche perché la secolarizzazione, la diffusione del relativismo, l’irrigidimento del pensiero laicista, la perdita del tessuto culturale cristiano ha determinato la “delega” dei genitori dell’educazione alla scuola e dell’educazione religiosa ai professionisti, preti o catechisti che hanno la possibilità di spiegare la fede solo un’oretta alla settimana (quando va bene e i bambini/ragazzi/giovani non sono occupati in altre attività!) e perciò sono costretti a ridurre la trasmissione della fede ad un contenuto e basta.
-         Ma la fede è semplicemente un contenuto? Perché è importante che avvenga in famiglia?
La fede è innanzi tutto un’esperienza, un avvenimento che cambia la vita perché è un incontro personale con Colui che più di tutto ama e che si rivela attraverso la persona di Cristo; questo incontro libera, guarisce, salva dalla paura e dal male e recupera ogni uomo alla gioia di vivere.
(possiamo ricordare alcune testimonianze: 2° Tim; Deut 6ss.; Gs 24,16-18; Est 4,17; 1° Gv 1,1-49).
Il Concilio Vaticano II ha definito la famiglia “chiesa domestica” perché è inserita nella Chiesa, e mediante il sacramento del matrimonio nel quale è radicata e dal quale trae alimento ha un compito sacerdotale che esercita in comunione con tutta la chiesa, quello di rendere manifesta la natura comunionale e familiare della Chiesa come famiglia di Dio. Ciascun membro, secondo il proprio ruolo, esercita il sacerdozio battesimale, contribuendo a fare della famiglia una comunità di grazia e di preghiera, una scuola delle virtù umane e cristiane, il luogo del primo annuncio della fede E’ quindi una comunità che si riunisce per lodare Dio e invocare la sua protezione e in cui si prega come in parrocchia.
 Dove una diffusa miscredenza e un invadente secolarismo rendono praticamente impossibile una vera crescita religiosa, la Chiesa Domestica resta l’unico ambiente dove i fanciulli e i giovani possono ricevere un’autentica catechesi. Quindi il luogo privilegiato per questo incontro è la famiglia ancorprima della parrocchia, in cui i genitori cristiani testimoniano che, con l’aiuto di Dio e la grazia del sacramento, il matrimonio è scuola di santità vera, luogo in cui è possibile affrontare le difficoltà alla luce della fede, vivere nell’amore e ricominciare ogni giorno da capo. La loro missione primordiale è quella di dare il vero significato agli avvenimenti, letti con “l’occhio di Dio”, far vedere la sua azione salvifica nella vita concreta di ogni giorno, a partire dalle esperienze vissute, personali e familiari. La fede è grazia e quindi dono di Dio, ma il dono passa abitualmente per la via della testimonianza e della ragione, così come la grazia che consente alla fede di attecchire e di manifestarsi nei comportamenti umani.
Trasmettere la fede non è quindi questione di particolari metodi o di discorsi appropriati, non è neppure un insegnamento morale, è essenzialmente trasmettere un modo di vivere, il modo che i genitori cristiani hanno di porsi dinanzi a Dio. Le difficoltà della vita e soprattutto le esperienze di fratture esprimono, nella fede, la forma più alta di unione: il perdono.
La vita coniugale passa anche attraverso l’esperienza del perdono, poiché cosa sarebbe un amore che non giunge fino al perdono? Questa, che è la più alta forma di unione, impegna tutto l’essere che, per volontà e per amore, accetta di non fermarsi all’offesa e di credere che un futuro è sempre possibile. Il perdono è una forma eminente di dono, che afferma la dignità dell’altro riconoscendolo per ciò che è, al di là di ciò che fa. Chi perdona permette anche a chi è perdonato di scoprire la grandezza infinita del perdono di Dio. Il perdono fa ritrovare la fiducia in se stessi e ripristina la comunione fra le persone, dato che non può esserci vita coniugale e familiare di qualità senza una vera conversione costante e senza la volontà di spogliarsi dei propri egoismi. Contemplando Cristo sulla croce che perdona, il cristiano trova la forza del perdono” (Cf. Giovanni Paolo II discorso “Il valore della famiglia nella società attuale” del 20.9.1996).
La fede è grazia e quindi dono di Dio, ma il dono passa abitualmente per la via della testimonianza e della ragione, così come la grazia che consente alla fede di attecchire e di manifestarsi nei comportamenti umani.
La prima esperienza che i genitori cristiani fanno è che il figlio che hanno messo al mondo non è loro, ha “un’origine divina”, è qualcuno che viene all’esistenza per un dono d’amore di Dio nel loro amore.
Vivere la paternità e maternità significa educare il figlio per quello che è, non per quello che voglio che sia, educare nello scoprire la sua realtà personale profonda, e a vivere bene le sue relazioni personali. Paternità e maternità significa ri-procreare, dare nuovamente e continuamente vita al figlio, non geneticamente e fisicamente, ma in tutta la sua realtà di persona in quanto essere che pensa, agisce, ama.
Poeticamente Kahlil Gibran, autore de Il Profeta, così scrive riguardo ai figli:
E una donna che reggeva un bambino al seno disse:
Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri:
Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:
Esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi:
La vita procede e non s'attarda sul passato.
Voi site gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano dellì'Arciere;
Poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell'arco.

Il primo annuncio della fede ai figli passa attraverso l’amore con cui sono stati chiamati alla vita e accolti: come la lingua della comunicazione verbale si conosce e si fa conoscere con il parlare, così Dio che è amore sommo si fa conoscere attraverso l’amore umano. L’affetto con cui i genitori accolgono i figli e come li accompagnano è un segno del prolungamento sacramentale dell’amore di Dio, l’esperienza di essere accolti e amati da Dio e dai genitori è il fondamento solido che favorisce la crescita e lo sviluppo autentico dell’uomo e che aiuta a maturare nel cammino della verità e dell’amore, ad uscire da sé per entrare in comunione con gli altri e con Dio.
In questo evento di amore che genera alla vita c’è una vocazione di eternità i genitori cristiani quando amano il figlio desiderano trasmettere un destino, un orizzonte di vita eterna. Amano con tenerezza con tutti i sentimenti umani ma trasfigurati dallo Spirito santo perché è un amore di genitori cristiani e sono coscienti che la cosa più bella più importante e desiderare per lui che si apra a questo dono gratuito dell’amore di Dio che essi stessi hanno conosciuto e sperimentato. Trasmettere la fede è dunque trasmettere il destino eterno, gettare il seme di eternità nel cuore dei figli e permettere nel contempo che il figlio lo accolga in una forma personale, con serena tranquillità e libertà. La fede non è un rischio, un “buttarsi nel vuoto” la fede si accoglie come un figlio accoglie l’amore dei genitori; si può accogliere perché ha vissuto prima l’amore, è stato amato per primo e per questo la fede è sempre una risposta all’amore.
Si cresce nella fede come si cresce nella vita. I genitori sono chiamati ad accompagnare i figli a maturare questo dono, a far crescere questo amore verso la perfezione, verso la santità. A volte abbiamo un’idea strana della santità che si identifica nel pregare tutto il giorno, dire il rosario, fare tante cose per gli altri… la santità è la perfezione dell’amore, cioè un amore maturo che costruisce un’unità nella persona. I genitori sono chiamati ad aiutare i figli a crescere nella carità di Cristo, al dono di sé che non è opera degli sforzi umani bensì azione dello spirito santo. La difficoltà che si incontra oggi sia nelle famiglie sia nei giovani è l’esistenza di un diffuso individualismo che porta ad una grande solitudine, profonda e interiore. Solo in un ambiente di amicizia la carità può crescere. Nella chiesa, nostra madre e nostra speranza, esistono tante realtà in cui sia i ragazzi sia le famiglie possono fare un incontro vero, profondo dell’amore di Dio e possono maturare nella loro esperienza di fede.
Trasmettere la fede è anche aiutare i figli a trovare nella Chiesa, nella parrocchia, nella comunità l’àncora (spes ancora tuta et firma) cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà nella crescita in cui figli hanno bisogno di maturare la loro fede, di fare propria l’esperienza di Dio .
Trasmettere la fede: come?
Al Card. Carlo Maria Martini, che viveva fino a poco tempo fa in Terra Santa, è stato chiesto di spiegare come fanno gli ebrei a trasmettere la fede ai figli. Il cardinale, richiamandosi alla lettera di Paolo a Timoteo, il quale aveva ricevuto la fede, quasi fosse un gioiello di famiglia, anzi il gioiello più prezioso, dalla mamma Eunice e dalla nonna Loide (2Tim 1,5), ha risposto semplicemente così: “In Israele per trasmettere la fede non ci sono catechismi e catechisti, e nemmeno ore di religione. La fede viene trasmessa in famiglia, non attraverso definizioni astratte, ma attraverso la celebrazione delle varie feste. Le feste sono il grande luogo di insegnamento della fede per il bambino ebraico”. E indugia a descrivere il rito e il senso delle grandi feste religiose e civili del calendario ebraico: da Rosh-haschanah (il capodanno) a Sukkot (i tabernacoli), allo Yom-kippur (l’espiazione), a Chanukkah (la rinnovazione del Tempio), a Purim (le sorti), a Pesach (la pasqua di liberazione), a Sinchat-Torah (la gioia per il dono della legge, Pentecoste). “Ognuna di queste feste, dice il cardinale, è vissuta in famiglia con speciale intensità. Ognuna ha le sue preghiere proprie, che la mamma fa recitare a tutta la famiglia, a tutti i bambini. Per ognuna ci sono giochi, canti e colori propri. I bambini imparano così, celebrando nella vita, udendo raccontare la storia del popolo e di questo Dio misericordioso, vicino, fedele, presente attraverso l’esperienza quotidiana”. Conclude il cardinale: “Dobbiamo ritornare a scommettere sulla trasmissione della fede in famiglia… I genitori facciano pregare i figli e celebrino con loro le feste liturgiche nel tempo e nel modo dovuti: abbiamo come cattolici moltissime splendide occasioni”. “Nei momenti delle feste liturgiche accade che l’ordinarietà della vita familiare si accende, si ravviva nell’incontro con la Grazia che si dona ad ognuno, piccoli e grandi, dentro ad ogni casa”.
Ovviamente questa sollecitazione non vuol essere condanna di tutto lo sforzo conciliare della Chiesa italiana per elaborare un itinerario catechistico su misura delle diverse età e stagioni della vita, ma è la sottolineatura dell’indifferibilità della testimonianza viva dei genitori.
La famiglia cristiana trasmette la fede quando i genitori insegnano ai loro figli a pregare e pregano con essi, quando li avvicinano ai sacramenti e li introducono nella vita della chiesa quando tutti si riuniscono per ascoltare la Parola, illuminando la vita familiare con la luce della fede e rivolgendosi a Dio come padre.
E’ anche importante coinvolgere da piccoli i figli nella vita di fede dei genitori perché questa modalità di vita possa diventare, gradualmente, un’esigenza che si esprime sia con la partecipazione all’Eucaristia Domenicale in chiesa, insieme alle altre famiglie, sia con le diverse forme di preghiera personale e familiare: la preghiera del mattino e della sera, il ringraziamento ai pasti, la benedizione prima di uscire da casa e prima di andare a letto, il rosario, o altre forme di preghiera insieme.
Grande importanza ha la mensa della famiglia, dove essa mangia unita, benedicendo il Signore per tutti i suoi doni. Attorno ad essa si comincia a svolgere in molte famiglie una liturgia domestica nel giorno di Domenica che, più di ogni altra forma di preghiera, esprime il senso della famiglia come “piccola chiesa”. I genitori pregano i salmi delle Lodi con i figli, leggono le Sacre Scritture e dialogano con loro, attualizzando la Parola nella propria storia concreta e vissuta. Il colloquio tra genitori e figli favorisce un’apertura all’ascolto reciproco e un “ritrovarsi” tra le generazioni, che spesso è impossibile con i ritmi frenetici della vita di oggi.
Il Vangelo di ogni Domenica, commentato dal padre e dalla madre a partire dalla propria esperienza, si rivela come la parola più adatta per far luce sugli avvenimenti di gioia o di dolore che in quella settimana la famiglia si è trovata a vivere. In questo modo si ritrova l’unità: tra i coniugi, perché la preghiera comune spesso li aiuta a superare le difficoltà che attentano alla loro comunione; tra i figli, che sperimentano la forza unificante della Parola di Dio; tra genitori e figli. È un momento privilegiato in cui, alla luce della Parola di Dio, tutti i componenti della famiglia si rapportano in un clima di verità e amore, superando screzi e incomprensioni mediante la riconciliazione e il perdono reciproco. L’esperienza ha dimostrato che, guidando i figli nella celebrazione delle Lodi, sia il padre che la madre riscoprono la loro missione di primi educatori e testimoni della fede, in una società che tende a sottrarre ai genitori i loro compiti educativi per affidarli ad altre strutture o per lasciarli in balia dell’influenza dei mass-media. Ciò vale in particolar modo per il padre, che vede oggi da più parti minato il suo ruolo; il compito di presiedere la celebrazione domestica e di attualizzare la parola è per lui un grandissimo aiuto per acquisire la coscienza della sua missione. Questo tipo di “liturgia domestica”, della quale il papà è “sacerdote”, è anche il modo migliore per realizzare la formazione cristiana dei più piccoli, in quanto un’attenzione speciale è riservata ai segni che invitano ad una celebrazione festosa e che introducono i figli ad una presentazione semplice e vera della fede cristiana (la famiglia unita, l’icona, i fiori, il canto, il possibile uso di strumenti musicali...).
In modo concreto si dà molta importanza al clima di festa proprio della Domenica, memoriale che Dio ci ha lasciato della vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato. È un clima che prosegue per il resto della giornata, a partire dal pasto consumato insieme agli ospiti della casa (nonni, parenti, amici, conoscenti di passaggio...) e che, nella scelta dei cibi e nella disposizione della tavola, sottolinea il carattere straordinario dell’ottavo giorno, il giorno della risurrezione di Gesù.
Pur nella fragilità e nella precarietà della singola famiglia, l’esperienza delle Lodi domenicali è per i figli un segno molto importante per crescere nella fede. Anche quando entrino in crisi o abbiano momenti di ribellione o di distacco nei confronti dei genitori, la preghiera nella propria famiglia, dove hanno visto i genitori amare e pregare Dio con vera convinzione, sarà e rimarrà un prezioso memoriale dell’amore di Dio.
Tutto ciò si può dire anche per i primi germi di vocazione. Il giovane Samuele alla voce misteriosa che parlava al cuore, rispondeva senza indugi: “Eccomi!” Dio chiama non solo alla vita, ma anche a un ruolo nella vita. E ben lo sapevano le mamme, che deponevano il loro bimbo appena battezzato e fatto cristiano sull’altare, quasi a dire: “È tuo figlio, Signore, non solo mio. Proteggilo, abbine cura, e se lo scegli per il tuo servizio, sarò lieta di dirti come Maria il mio ”.
Anche questo gesto così semplice e quasi ingenuo, faceva parte delle tradizioni cristiane e dell’educazione dei figli. Così come altri gesti: l’immagine sacra in casa dinanzi alla quale i bimbi portavano fiori, la “benedizione” ai figli prima di uscire di casa al mattino o prima di andare a dormire alla sera, gli altarini di maggio con i “fioretti”, i servizi in chiesa come chierichetti, il rosario in casa, il presepio a Natale e così via. La vita era impregnata di gesti semplici di fede, fino a ritrovarsi magari tutti insieme come famiglia attorno al nonno morente per ricevere la sua benedizione; e i piccoli imparavano a non provare eccessivo turbamento dall’incontro con la morte. Questi e tanti altri stimoli educativi e religiosi oggi non ci sono quasi più. Qualcuno è recuperabile, altri dovranno essere reinterpretati o inventati di nuovo. Così come va riscoperto dalle famiglie il grande onore d’avere un figlio prete!
La famiglia cristiana è chiamata ad incarnare la parola non come qualcosa di esterno ma come un dono della grazia del sacramento del matrimonio infusa negli sposi.
Non si possono educare i figli ai valori e alle virtù cristiane e trasmettere loro la fede se per primi i genitori non fanno esperienza diretta, vissuta e perseverante dell’incontro con l’amore di Dio manifestato in Cristo risorto nella Chiesa per opera dello Spirito Santo.
Si pone quindi a tutta la chiesa un profondo impegno per promuovere una “nuova evangelizzazione della famiglia; non una rievangelizzazione ma un’evangelizzazione nuova”, nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione” (Giovanni Paolo II, Discorso all’assemblea del CELAM, 1983), perché la famiglia possa riscoprire la sua identità (chiesa domestica, intima comunità di vita e di amore, in cui si educano i figli ai valori umani e alle virtù cristiane e in cui si trasmette la fede e la sua missione (custodire, rivelare e comunicare l’amore di Dio per l’umanità e l’amore di Gesù Cristo per la chiesa) . Le famiglie cristiane non possono chiudersi in se stesse, mentre edificano nella carità la chiesa, si pongono al servizio dell’uomo e della società, attuando una autentica ”promozione umana”. La responsabilità delle famiglie cristiane, in questo momento di profondo cambiamento culturale, pertanto, si caratterizza per la sua capacità di costruire coraggiosamente un nuovo modello di vita, nonostante le ostilità culturali e le pressioni psicologiche che incontra nella società civile. Si deve evitare la tentazione di un atteggiamento ”minimalista”, al contrario, visto il temibile vuoto di senso che fa soffrire terribilmente e morire interiormente tante persone, ”c’è bisogno di un soprassalto di coscienza, e di coraggio per riproporre i valori della famiglia cristiana senza alcun timore “opportune et importune” (2 Tm 4,2) [i], con la fede nella potenza di Dio che ispira progetti impossibili all’uomo (At. 4, 26-30). Per questo l’esortazione di Giovanni Paolo II ”Famiglia diventa ciò che sei” è l’impegno che le famiglie cristiane sono chiamate ad assumere in questo frangente storico perché il mondo attende la loro testimonianza, affinché il mistero della famiglia, fondata su un amore fedele radicato nella fede, possa essere contemplato con meraviglia e stupore e possa aprire alla speranza le nuove generazioni.

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