TRACCE per gli INCONTRI CON LE FAMIGLIE (Agorà 2009)
Il testo è stato elaborato, a partire dalla bibliografia indicata, come
traccia di lavoro per la preparazione delle équipe, ma non deve essere
integralmente riportato nell’intervento, che diversamente risulterebbe troppo
lungo.
La parola di Dio
come riferimento principale è la 2°
lettera a Timoteo (in particolare i versetti 1,5-11) da cui è stato
tratto il motto degli incontri, ma anche tutte le altre letture che riprendono
le testimonianze di fede:
MI RICORDO DELLA TUA FEDE
SCHIETTA
Deut 6,2 ss Gs 24,16-18 Est 4,17 1Gv 1,1-4
Il Magistero della
Chiesa
Gaudium et spes 48
Lumen Gentium 11
Familiaris Consortio
15,21,26,28,36,37,38,39,55,59,60,61
Catechesi tradendae
Giovanni Paolo II,
Omelia Festa della S.Famiglia, 1988
Benedetto XVI, Trasmettere la fede in famiglia,Valencia,
luglio 2006
Benedetto XVI, Lettera alla diocesi di Roma sul compito
urgente dell’educazione, 2008
Card. Carlo Maria
Martini, Celebriamo la fede in
famiglia, Cittadella, 2008
Mons. Giuseppe
Chiaretti
Leggere insieme la
Bibbia, 1997
Pregare insieme in
famiglia, 2005
Trasmettere la fede ai
figli, 2007
Virtuosi e non
virtuali, 2008
Omelia 19 ottobre 2008,
Convegno regionale sulla famiglia
Archidiocesi di
Perugia –Città della Pieve
Linee guida di
pastorale familiare
Équipe
Introduzione con 2Tim 1,5-11
Argomentazione generale: il
Battesimo e le domande primordiali
Significato del termine educare:
non trasmettere conoscenze, ma portare un figlio a comprendere la vocazione a
cui è chiamato
Insuccessi educativi: hanno come
base la mancanza di certezze e di valori
Educazione: compito faticoso ma
inderogabile dei genitori, guidati dall’Amore
Genitore cristiano guida i figli
alle virtù cristiane
Come e cosa trasmettere? La
fede. Spesso delega dei genitori ad altre agenzie educative (scuola,
catechisti ecc.)
La fede va trasmessa in famiglia
perché non è un contenuto ma un’esperienza. Si dona un modo di vivere
Famiglia chiesa domestica
(difficoltà,amore, perdono)
Trasmettere la fede = gettare un
seme di eternità
Famiglia cristiana non obbligo
ma segno per la società.
Che cosa significa oggi educare? educare ai
valori e alle virtù cristiane?che cosa significa trasmettere la fede? E come si
fa?
Per il mondo
della cultura alla parola “educare” viene attribuito spesso il significato che
ha lasciato l’illuminismo; per questa corrente filosofica che ha dominato la
cultura negli ultimi due/tre secoli della storia europea e mondiale educare
significa trasmettere delle conoscenze, dei contenuti universalmente validi. Ci
sono contenuti che lo studente deve imparare, c’è qualcuno, maestro o genitore
che conosce e trasmette all’altro le sue conoscenze e per comunicarle in modo
efficace deve conoscere il processo evolutivo della persona. Ma l’educazione non
si può ridurre alla comunicazione, educare è essenzialmente e-ducere cioè tirare fuori da ogni figlio un capolavoro di natura e di grazia,
salvaguardando l’innata dignità e libertà di ognuno. E’ oggi questa l’emergenza
primaria e inderogabile, la “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi
cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide,
capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita e alla
cui radice troviamo la mancata trasmissione di certezze e di valori, in ultima
analisi, una crisi di fiducia della vita. Non parliamo solo di educazione
cristiana ma anche di educazione umana, c’è infatti una crescente difficoltà
nel trasmettere alle nuove generazioni i valori base dell’esistenza e di un
retto comportamento e quel che si dice dei processi educativi dell’umano deve
dirsi ancora di più dello spirituale e del religioso.
Educare ai valori e virtù cristiane
L’educazione è certamente
una grande fatica ma è anche un grandissimo compito che affonda le radici nella
primordiale vocazione dei coniugi a partecipare all’opera creatrice di Dio.
Generando nell’amore e per amore una nuova persona i genitori si assumono il
compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana. Si tratta
di un diritto/dovere essenziale connesso alla trasmissione della vita,
originale e primario rispetto al compito educativo di altri per l’unicità del
rapporto di amore che c’è tra genitori e figli è l’amore quindi che guida e sorregge tutta l’azione educativa e che
genera nei figli fiducia e senso di responsabilità, anche nelle esperienze di
sofferenza che non vanno eliminate come oggi si tende a fare, perché la
sofferenza fa parte della verità della vita. Cercare di tenere al riparo i
giovani dalle difficoltà si rischia di far crescere persone fragili e poco
generose. Insieme ai frutti dell’amore: dolcezza, costanza,bontà, spirito di
sacrificio, disinteresse l’anima dell’educazione è la speranza cristiana, una
speranza, che pur essendo insidiata da molte parti, se si affida a Dio diventa
speranza per gli altri, Una vera educazione indirizza i figli alla verità e al bene, soprattutto a
quella verità che può essere guida nella vita. Così accanto all’educazione ai
valori essenziali della vita umana, i genitori sono chiamati a educare i figli
alle virtù cardinali cristiane:
- prudenza [= discernimento;
virtù che dispone l'intelletto all'analisi accorta e circostanziata del mondo
reale circostante e esorta la ragione a discernere in ogni circostanza il
nostro vero bene, scegliendo i mezzi adeguati per compierlo],
- fortezza [= coraggio;
virtù che, nella difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca
del bene],
- giustizia [la virtù morale
che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che
è loro dovuto] e
- temperanza [= dominio di
sé; virtù che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio
nell’uso dei beni creati],
che non sono
moralismi antiquati (ne hanno parlato fior di filosofi non cristiani basti
pensare a Platone!) ma le strutture portanti dei comportamenti umani; da essi
derivano infatti: obbedienza, pazienza, onestà, lealtà, magnanimità, sobrietà,
umiltà, perseveranza.
Poiché il
rapporto educativo è sempre un incontro tra due libertà, l’educazione ben
riuscita è la formazione ad un retto uso della libertà trovando un giusto
equilibrio tra libertà e disciplina. Senza regole di comportamento e di vita
fatti valere con autorevolezza a partire dalle piccole cose di ogni giorno, non
si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che fanno
parte della esistenza umana.
Trasmettere la fede: che cosa trasmettere? come
trasmettere oggi perché i figli possano identificare “la Voce” tra tante voci?
Insieme al
compito grandissimo di formare persone libere e responsabili i genitori hanno
quello di trasmettere la fede. Infatti essi sono per i figli non solo i primi
responsabili dell’educazione ma i primi annunciatori della fede in particolare
hanno la missione di educarli alla fede cristiana.
Spesso oggi accade
che si può trasmettere la fede nelle varie fasi della vita, come un contenuto qualsiasi
(come spiego la matematica così spiego il credo religioso). Ma non è proprio
così, anche perché la secolarizzazione, la diffusione del relativismo, l’irrigidimento
del pensiero laicista, la perdita del tessuto culturale cristiano ha
determinato la “delega” dei genitori dell’educazione alla scuola e
dell’educazione religiosa ai professionisti, preti o catechisti che hanno la
possibilità di spiegare la fede solo un’oretta alla settimana (quando va bene e
i bambini/ragazzi/giovani non sono occupati in altre attività!) e perciò sono
costretti a ridurre la trasmissione della fede ad un contenuto e basta.
-
Ma la fede è
semplicemente un contenuto? Perché è importante che avvenga in famiglia?
La fede è
innanzi tutto un’esperienza, un avvenimento che cambia la vita perché è un
incontro personale con Colui che più di tutto ama e che si rivela attraverso la
persona di Cristo; questo incontro libera, guarisce, salva dalla paura e dal
male e recupera ogni uomo alla gioia di vivere.
(possiamo ricordare alcune testimonianze: 2°
Tim; Deut 6ss.; Gs 24,16-18; Est 4,17; 1° Gv 1,1-49).
Il Concilio Vaticano
II ha definito la famiglia “chiesa domestica” perché è inserita nella Chiesa, e
mediante il sacramento del matrimonio nel quale è radicata e dal quale trae
alimento ha un compito sacerdotale che esercita in comunione con tutta la
chiesa, quello di rendere manifesta la natura comunionale e familiare della
Chiesa come famiglia di Dio. Ciascun membro, secondo il proprio ruolo, esercita
il sacerdozio battesimale, contribuendo a fare della famiglia una comunità di
grazia e di preghiera, una scuola delle virtù umane e cristiane, il luogo del
primo annuncio della fede E’ quindi una comunità che si riunisce per lodare Dio
e invocare la sua protezione e in cui si prega come in parrocchia.
Dove una diffusa miscredenza e un invadente secolarismo
rendono praticamente impossibile una vera crescita religiosa, la Chiesa Domestica resta l’unico ambiente
dove i fanciulli e i giovani possono ricevere un’autentica catechesi. Quindi il
luogo privilegiato per questo incontro è la famiglia ancorprima della
parrocchia, in cui i genitori cristiani testimoniano che, con l’aiuto di Dio e
la grazia del sacramento, il matrimonio è scuola di santità vera, luogo in cui
è possibile affrontare le difficoltà alla luce della fede, vivere nell’amore e
ricominciare ogni giorno da capo. La loro missione primordiale è quella di dare
il vero significato agli avvenimenti, letti con “l’occhio di Dio”, far vedere
la sua azione salvifica nella vita concreta di ogni giorno, a partire dalle
esperienze vissute, personali e familiari. La
fede è grazia e quindi dono di Dio, ma il dono passa abitualmente per la via
della testimonianza e della ragione, così come la grazia che consente alla fede
di attecchire e di manifestarsi nei comportamenti umani.
Trasmettere la fede non è quindi questione di particolari metodi o di
discorsi appropriati, non è neppure un insegnamento morale, è essenzialmente trasmettere un modo di vivere, il modo
che i genitori cristiani hanno di porsi dinanzi a Dio. Le difficoltà della vita
e soprattutto le esperienze di fratture esprimono, nella fede, la forma più alta
di unione: il perdono.
“La vita coniugale passa anche
attraverso l’esperienza del perdono, poiché cosa sarebbe un amore che non
giunge fino al perdono? Questa, che è la più alta forma di unione, impegna
tutto l’essere che, per volontà e per amore, accetta di non fermarsi all’offesa
e di credere che un futuro è sempre possibile. Il perdono è una forma eminente
di dono, che afferma la dignità dell’altro riconoscendolo per ciò che è, al di
là di ciò che fa. Chi perdona permette anche a chi è perdonato di scoprire la
grandezza infinita del perdono di Dio. Il perdono fa ritrovare la fiducia in se
stessi e ripristina la comunione fra le persone, dato che non può esserci vita
coniugale e familiare di qualità senza una vera conversione costante e senza la
volontà di spogliarsi dei propri egoismi. Contemplando Cristo sulla croce che
perdona, il cristiano trova la forza del perdono” (Cf. Giovanni Paolo II
discorso “Il valore della famiglia nella società attuale” del 20.9.1996).
La fede è grazia e quindi dono di Dio, ma il dono passa abitualmente per
la via della testimonianza e della ragione, così come la grazia che consente
alla fede di attecchire e di manifestarsi nei comportamenti umani.
La prima esperienza che i genitori cristiani fanno è che il figlio che
hanno messo al mondo non è loro, ha “un’origine divina”, è qualcuno che viene
all’esistenza per un dono d’amore di Dio nel loro amore.
Vivere la paternità e maternità significa educare il figlio per quello
che è, non per quello che voglio che sia, educare nello scoprire la sua realtà
personale profonda, e a vivere bene le sue relazioni personali. Paternità e
maternità significa ri-procreare, dare nuovamente e continuamente vita al
figlio, non geneticamente e fisicamente, ma in tutta la sua realtà di persona
in quanto essere che pensa, agisce, ama.
Poeticamente Kahlil Gibran, autore de Il Profeta, così scrive riguardo ai
figli:
E una donna che reggeva un
bambino al seno disse:
Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli
vostri.
Sono figli e figlie della sete
che la vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso di voi,
ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi
appartengono.
Potete donare loro amore ma non
i vostri pensieri:
Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro
corpi ma non alle loro anime:
Esse abitano la casa del domani,
che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili
a loro, ma non farli simili a voi:
La vita procede e non s'attarda
sul passato.
Voi site gli archi da cui i figli,
come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L'Arciere vede il bersaglio sul
sentiero dell'infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano
rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano
dellì'Arciere;
Poiché come ama il volo della freccia
così ama la fermezza dell'arco.
Il primo annuncio della fede ai figli passa attraverso l’amore con cui sono stati chiamati alla
vita e accolti: come la lingua della comunicazione verbale si conosce e si
fa conoscere con il parlare, così Dio che è amore sommo si fa conoscere
attraverso l’amore umano. L’affetto con cui i genitori accolgono i figli e come
li accompagnano è un segno del prolungamento sacramentale dell’amore di Dio,
l’esperienza di essere accolti e amati da Dio e dai genitori è il fondamento
solido che favorisce la crescita e lo sviluppo autentico dell’uomo e che aiuta
a maturare nel cammino della verità e dell’amore, ad uscire da sé per entrare
in comunione con gli altri e con Dio.
In questo evento di amore che genera alla vita c’è una vocazione di
eternità i genitori cristiani quando amano il figlio desiderano trasmettere un
destino, un orizzonte di vita eterna. Amano con tenerezza con tutti i
sentimenti umani ma trasfigurati dallo Spirito santo perché è un amore di
genitori cristiani e sono coscienti che la cosa più bella più importante e
desiderare per lui che si apra a questo dono gratuito dell’amore di Dio che
essi stessi hanno conosciuto e sperimentato. Trasmettere la fede è dunque trasmettere
il destino eterno, gettare il seme di eternità nel cuore dei figli e
permettere nel contempo che il figlio lo accolga in una forma personale, con
serena tranquillità e libertà. La fede non è un rischio, un “buttarsi nel
vuoto” la fede si accoglie come un figlio accoglie l’amore dei genitori; si può
accogliere perché ha vissuto prima l’amore, è stato amato per primo e per
questo la fede è sempre una risposta all’amore.
Si cresce nella fede come si cresce nella vita. I genitori sono chiamati
ad accompagnare i figli a maturare questo dono, a far crescere questo amore
verso la perfezione, verso la santità. A volte abbiamo un’idea strana della
santità che si identifica nel pregare tutto il giorno, dire il rosario, fare
tante cose per gli altri… la santità è la perfezione dell’amore, cioè un amore maturo
che costruisce un’unità nella persona. I genitori sono chiamati ad aiutare i
figli a crescere nella carità di Cristo, al dono di sé che non è opera degli
sforzi umani bensì azione dello spirito santo. La difficoltà che si incontra
oggi sia nelle famiglie sia nei giovani è l’esistenza di un diffuso
individualismo che porta ad una grande solitudine, profonda e interiore. Solo
in un ambiente di amicizia la carità può crescere. Nella chiesa, nostra madre e
nostra speranza, esistono tante realtà in cui sia i ragazzi sia le famiglie possono
fare un incontro vero, profondo dell’amore di Dio e possono maturare nella loro
esperienza di fede.
Trasmettere la fede è anche
aiutare i figli a trovare nella Chiesa, nella parrocchia, nella comunità l’àncora (spes ancora tuta et firma)
cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà nella crescita in cui figli hanno
bisogno di maturare la loro fede, di fare propria l’esperienza di Dio .
Trasmettere la fede: come?
Al Card. Carlo
Maria Martini, che viveva fino a poco tempo fa in Terra Santa, è stato chiesto
di spiegare come fanno gli ebrei a trasmettere la fede ai figli. Il cardinale,
richiamandosi alla lettera di Paolo a Timoteo, il quale aveva ricevuto la fede,
quasi fosse un gioiello di famiglia, anzi il gioiello più prezioso, dalla mamma
Eunice e dalla nonna Loide (2Tim
1,5), ha risposto semplicemente così: “In
Israele per trasmettere la fede non ci sono catechismi e catechisti, e nemmeno
ore di religione. La fede viene trasmessa in famiglia, non attraverso
definizioni astratte, ma attraverso la celebrazione delle varie feste. Le feste
sono il grande luogo di insegnamento della fede per il bambino ebraico”. E
indugia a descrivere il rito e il senso delle grandi feste religiose e civili
del calendario ebraico: da Rosh-haschanah
(il capodanno) a Sukkot (i
tabernacoli), allo Yom-kippur
(l’espiazione), a Chanukkah (la
rinnovazione del Tempio), a Purim (le
sorti), a Pesach (la pasqua di
liberazione), a Sinchat-Torah (la
gioia per il dono della legge, Pentecoste). “Ognuna di queste feste, dice il cardinale, è vissuta in famiglia con speciale intensità. Ognuna ha le sue
preghiere proprie, che la mamma fa recitare a tutta la famiglia, a tutti i
bambini. Per ognuna ci sono giochi, canti e colori propri. I bambini imparano
così, celebrando nella vita, udendo raccontare la storia del popolo e di questo
Dio misericordioso, vicino, fedele, presente attraverso l’esperienza quotidiana”.
Conclude il cardinale: “Dobbiamo
ritornare a scommettere sulla trasmissione della fede in famiglia… I genitori
facciano pregare i figli e celebrino con loro le feste liturgiche nel tempo e
nel modo dovuti: abbiamo come cattolici moltissime splendide occasioni”. “Nei momenti delle feste liturgiche accade
che l’ordinarietà della vita familiare si accende, si ravviva nell’incontro con
la Grazia che si dona ad ognuno, piccoli e grandi, dentro ad ogni casa”.
Ovviamente questa
sollecitazione non vuol essere condanna di tutto lo sforzo conciliare della
Chiesa italiana per elaborare un itinerario catechistico su misura delle diverse
età e stagioni della vita, ma è la sottolineatura dell’indifferibilità della
testimonianza viva dei genitori.
La famiglia
cristiana trasmette la fede quando i genitori insegnano ai loro figli a pregare
e pregano con essi, quando li avvicinano ai sacramenti e li introducono nella
vita della chiesa quando tutti si riuniscono per ascoltare la Parola,
illuminando la vita familiare con la luce della fede e rivolgendosi a Dio come
padre.
E’ anche importante coinvolgere da piccoli i figli nella
vita di fede dei genitori perché questa modalità di vita possa diventare,
gradualmente, un’esigenza che si esprime sia con la partecipazione
all’Eucaristia Domenicale in chiesa, insieme alle altre famiglie, sia con le
diverse forme di preghiera personale e familiare: la preghiera del mattino e
della sera, il ringraziamento ai pasti, la benedizione prima di uscire da casa
e prima di andare a letto, il rosario, o altre forme di preghiera insieme.
Grande importanza ha la mensa della famiglia, dove essa mangia unita, benedicendo il
Signore per tutti i suoi doni. Attorno ad essa si comincia a svolgere
in molte famiglie una liturgia domestica nel giorno di Domenica che, più di
ogni altra forma di preghiera, esprime il senso della famiglia come “piccola
chiesa”. I genitori pregano i salmi delle Lodi
con i figli, leggono le Sacre Scritture e dialogano con loro, attualizzando la
Parola nella propria storia concreta e vissuta. Il colloquio tra genitori e
figli favorisce un’apertura all’ascolto reciproco e un “ritrovarsi” tra le generazioni,
che spesso è impossibile con i ritmi frenetici della vita di oggi.
Il Vangelo di ogni Domenica, commentato dal padre e
dalla madre a partire dalla propria esperienza, si rivela come la parola
più adatta per far luce sugli avvenimenti di gioia o di dolore che in quella
settimana la famiglia si è trovata a vivere. In questo modo si ritrova l’unità:
tra i coniugi, perché la preghiera comune spesso li aiuta a superare le
difficoltà che attentano alla loro comunione; tra i figli, che sperimentano la
forza unificante della Parola di Dio; tra genitori e figli. È un momento
privilegiato in cui, alla luce della Parola di Dio, tutti i componenti della
famiglia si rapportano in un clima di verità e amore, superando screzi e
incomprensioni mediante la riconciliazione e il perdono reciproco. L’esperienza
ha dimostrato che, guidando i figli nella celebrazione delle Lodi, sia il
padre che la madre riscoprono la loro missione di primi educatori e testimoni
della fede, in una società che tende a sottrarre ai genitori i loro compiti
educativi per affidarli ad altre strutture o per lasciarli in balia
dell’influenza dei mass-media. Ciò vale in particolar modo per il padre, che
vede oggi da più parti minato il suo ruolo; il compito di presiedere la
celebrazione domestica e di attualizzare la parola è per lui un
grandissimo aiuto per acquisire la coscienza della sua missione. Questo tipo di
“liturgia domestica”, della quale il papà è “sacerdote”, è anche
il modo migliore per realizzare la formazione cristiana dei più piccoli,
in quanto un’attenzione speciale è riservata ai segni che invitano ad una
celebrazione festosa e che introducono i figli ad una presentazione semplice e
vera della fede cristiana (la famiglia unita, l’icona, i fiori, il canto, il
possibile uso di strumenti musicali...).
In modo concreto si dà molta importanza al clima di festa
proprio della Domenica, memoriale
che Dio ci ha lasciato della vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato. È un
clima che prosegue per il resto della giornata, a partire dal pasto consumato
insieme agli ospiti della casa (nonni, parenti, amici, conoscenti di
passaggio...) e che, nella scelta dei cibi e nella disposizione della tavola,
sottolinea il carattere straordinario dell’ottavo
giorno, il giorno della risurrezione di Gesù.
Pur nella fragilità e nella precarietà della singola
famiglia, l’esperienza delle Lodi domenicali è per i figli un segno molto
importante per crescere nella fede. Anche quando entrino in crisi o abbiano
momenti di ribellione o di distacco nei confronti dei genitori, la preghiera
nella propria famiglia, dove hanno visto i genitori amare e pregare Dio con
vera convinzione, sarà e rimarrà un prezioso memoriale dell’amore di Dio.
Tutto ciò si può
dire anche per i primi germi di vocazione. Il giovane Samuele alla voce
misteriosa che parlava al cuore, rispondeva senza indugi: “Eccomi!” Dio chiama non solo alla vita, ma anche a un ruolo nella
vita. E ben lo sapevano le mamme, che deponevano il loro bimbo appena
battezzato e fatto cristiano sull’altare, quasi a dire: “È tuo figlio, Signore, non solo mio. Proteggilo, abbine cura, e se lo
scegli per il tuo servizio, sarò lieta di dirti come Maria il mio Sì”.
Anche questo
gesto così semplice e quasi ingenuo, faceva parte delle tradizioni cristiane e
dell’educazione dei figli. Così come altri gesti: l’immagine sacra in casa
dinanzi alla quale i bimbi portavano fiori, la “benedizione” ai figli prima di
uscire di casa al mattino o prima di andare a dormire alla sera, gli altarini
di maggio con i “fioretti”, i servizi in chiesa come chierichetti, il rosario
in casa, il presepio a Natale e così via. La vita era impregnata di gesti
semplici di fede, fino a ritrovarsi magari tutti insieme come famiglia attorno
al nonno morente per ricevere la sua benedizione; e i piccoli imparavano a non
provare eccessivo turbamento dall’incontro con la morte. Questi e tanti altri
stimoli educativi e religiosi oggi non ci sono quasi più. Qualcuno è
recuperabile, altri dovranno essere reinterpretati o inventati di nuovo. Così
come va riscoperto dalle famiglie il grande onore d’avere un figlio prete!
La famiglia
cristiana è chiamata ad incarnare la parola non come qualcosa di esterno ma
come un dono della grazia del sacramento del matrimonio infusa negli sposi.
Non si possono
educare i figli ai valori e alle virtù cristiane e trasmettere loro la fede se
per primi i genitori non fanno esperienza diretta, vissuta e perseverante
dell’incontro con l’amore di Dio manifestato in Cristo risorto nella Chiesa per
opera dello Spirito Santo.
Si pone quindi a tutta la chiesa un profondo impegno per promuovere una
“nuova evangelizzazione della famiglia;
non una rievangelizzazione ma un’evangelizzazione nuova”, nuova nel
suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione” (Giovanni Paolo II,
Discorso all’assemblea del CELAM, 1983), perché la famiglia possa riscoprire la
sua identità (chiesa domestica, intima
comunità di vita e di amore, in cui si educano i figli ai valori umani e alle
virtù cristiane e in cui si trasmette la fede e la sua missione (custodire, rivelare e comunicare l’amore di Dio per
l’umanità e l’amore di Gesù Cristo per la chiesa) . Le famiglie cristiane non
possono chiudersi in se stesse, mentre edificano nella carità la chiesa, si
pongono al servizio dell’uomo e della società, attuando una autentica ”promozione
umana”. La responsabilità delle famiglie cristiane, in questo momento di
profondo cambiamento culturale, pertanto, si caratterizza per la sua capacità
di costruire coraggiosamente un nuovo modello di vita, nonostante le ostilità
culturali e le pressioni psicologiche che incontra nella società civile. Si
deve evitare la tentazione di un atteggiamento ”minimalista”, al contrario, visto
il temibile vuoto di senso che fa soffrire terribilmente e morire interiormente
tante persone, ”c’è bisogno di un soprassalto di coscienza, e di coraggio per
riproporre i valori della famiglia cristiana senza alcun timore “opportune et importune” (2 Tm 4,2) [i],
con la fede nella potenza di Dio che ispira progetti impossibili all’uomo (At. 4, 26-30). Per questo l’esortazione
di Giovanni Paolo II ”Famiglia diventa ciò che sei” è
l’impegno che le famiglie cristiane sono chiamate ad assumere in questo
frangente storico perché il mondo attende la loro testimonianza, affinché il
mistero della famiglia, fondata su un amore fedele radicato nella fede, possa
essere contemplato con meraviglia e stupore e possa aprire alla speranza le
nuove generazioni.