domenica 21 febbraio 2010

Digiuno

Digiuno e astinenza: da sempre fondamento della vita cristiana, insieme alla preghiera e all’elemosina e con tutte le altre opere di carità.

Il cristiano ha un bisogno permanente di conversione, di richiesta di perdono, di supplica per l’aiuto divino e anche di rendimento di grazie e lode al Padre, ma questa pratica è radicata nel popolo eletto: il rabbino Toaff scampato dal campo di prigionia torna a casa, saluta e abbraccia tutti, poi fanno festa cominciando con un giorno di digiuno!

Festa dello Yom-Kippur: cosa significa, come comincia e come si conclude, ovvero: non c’è sincera gioia senza vera conversione
Il 1° giorno di Tishrì, il nostro settembre-ottobre, si apre l’anno ebraico con la festa di Rosh-ha-Shana, giorno extra lungo di festa che si celebra in tutto il globo terrestre cosicché dura effettivamente 48 ore. Poi s’iniziano i giorni della penitenza, confessione ed astinenza, che raggiungono il culmine il 10 di Tishrì con lo Yom-Kippur, il giorno della purificazione: 25 ore di digiuno completo. Un agnello verrà quindi caricato di tutti i peccati del popolo eletto e sarà scacciato fuori dalla città per andare a morire nel deserto.

Al giorno d’oggi, parlare di preghiera, elemosina e digiuno sembra a dir poco anacronistico. La nostra società vive il consumismo. Siamo passati nel breve periodo dalla necessità di soddisfare i primordiali bisogni (mangiare, bere, avere buona salute, tenore di vita adeguato e sufficiente…) all’appropriarsi di tutto ciò che ti capita a portata di mano, perché è tuo e nessuno si azzardi a togliertelo!
L’uomo di oggi ha un’unica ragione di essere: “pancia mia fatti capanna”.
Ma nella penitenza c’è il pieno coinvolgimento dell’uomo nella sua totalità di corpo e spirito, perché l’uomo ha necessità del cibo, ma può anche solo pregare. L’uomo si appropria delle cose, ma sa anche farne dono; l’uomo vuol godere, possedere, è egoista, ma sente forte in sé l’esigenza di solidarietà che lo lega a tutto il resto del genere umano.
Ecco che digiuno ed astinenza non sembrano più forme di disprezzo del proprio corpo, ma diventano strumenti per rinvigorire ed elevare lo spirito; ed uno spirito così nutrito sa esaltare e dare forza a tutta la persona.

Certo il digiuno e l’astinenza mostrano il carattere forte della Chiesa contro consumismo ed edonismo e sconcertano il mondo e forse anche molti degli stessi battezzati, ma …

Se guardiamo a Gesù, se facciamo riferimento a lui, troviamo che il suo ministero pubblico si apre con l’investitura dello Spirito Santo e con le tentazioni del deserto. Però non possiamo credere che quella sia stata la prima volta che un così pio ebreo, conoscitore ed osservante della Legge abbia sperimentato questa pratica devozionale.
Tutti i gran dottori, dai farisei in giù in giù, praticavano, anzi ostentavano due giorni a settimana di digiuno da cibi e bevande; e non dimentichiamoci quelle offerte e quelle elemosine sonanti perché fatte a braccia tese, davanti a tutti…
Ecco, allora, che se Gesù sembra poco incline al digiuno e non vi obbliga neanche i suoi discepoli, è solo perché quello che vede pomposamente esibito dai dottori e dai sapienti è solo esteriorità e niente cuore.

La pratica del digiuno, così come quella dell’elemosina e della preghiera, non è una novità portata da Gesù:
egli rimanda all’esperienza religiosa del popolo d’Israele, dove il digiuno è praticato come momento di professione di fede nell’unico vero Dio, fonte di ogni bene, e come elemento necessario per superare le prove alle quali sono sottoposte la fede e la fiducia nel Signore.
Mosè ed Elia si astengono dal cibo per prepararsi all’incontro con Dio (Cfr. Es 34,28; 1 Re 19,8). La coscienza del peccato, il dolore e il pentimento, la conversione e l’espiazione, pur manifestandosi in molteplici modi, trovano nel digiuno la loro espressione più naturale e immediata (Cfr. 1Sam 7.6). Le celebrazioni penitenziali, in tempo di gravi calamità e nei momenti decisivi dell’Alleanza fra Dio e il suo popolo, comportano anche l’indizione di un solenne digiuno per l’intera comunità (Cfr.GI 2,12-18; Ne 8,13-9,2). A rendere più intensa l’implorazione della preghiera, Israele ricorre alla prostrazione fisica che segue alla rinuncia del cibo (Cfr. Ne 1,4; 2Cr 20,3; 2Mc 13,12; Dn 9,3). Privandosi del cibo, alcuni protagonisti della storia del popolo d’Israele riconoscono i limiti della loro forza umana e si appellano alla forza di Dio, che solo li può salvare (Cfr. Gdt 8,6; Est 4,3.16).
E tuttavia anche nelle pratiche di digiuno, come in ogni espressione della religiosità, si possono annidare molte insidie: l’autocompiacimento, la pretesa di rivendicare diritti di fronte a Dio, l’illusione di esimersi con un dovere cultuale dai più stringenti doveri verso il prossimo. Per questo il profeta denuncia la falsità del formalismo e predica il vero digiuno che il Signore vuole:
«Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo... Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7).
C’è dunque un intimo legame fra il digiuno e la conversione della vita, il pentimento dei peccati, la preghiera umile e fiduciosa, l’esercizio della carità fraterna e la lotta contro l’ingiustizia: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia» (Tob 12,8).

Sicuramente Gesù Cristo sapeva come digiunare e nessun uomo al di fuori di lui avrebbe potuto assumere quei quaranta giorni di tentazione nel deserto. Tuttavia quando si tratta di prendere pubblica posizione sul digiuno, sull’astinenza e sulla giusta devozione, Gesù non manca di far sentire la sua voce.
Dal Vangelo di Marco 11, 18-22:
“Discussione sul digiuno
18 Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19 Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20 Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. 21 Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. 22 E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».”

Del resto Gesù si esprime sempre in modo categorico, come in Matteo 12, 1-8:
“Le spighe strappate
1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore [anche] del sabato».”

L’adesione a Cristo morto e risorto e la fedeltà al dono della vita nuova e della vera libertà esigono la lotta contro il peccato che inquina il cuore dell’uomo, e contro tutto ciò che al peccato conduce: di qui la necessità della rinuncia. «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5,1).

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Scrutare “Misericordia io voglio e non sacrificio…”

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La dottrina e la pratica del digiuno e dell’astinenza sono quindi state sempre presenti nella vita della Chiesa da quando il suo Sposo, tornando al Padre, l’ha lasciata nelle mani dello Spirito consolatore. I più antichi monaci già stigmatizzavano e fissavano la privazione del cibo, la semplicità dei pasti e della vita, la ricerca di una sazietà “differente” come regole per molti tempi dell’anno liturgico.
Certo si doveva consumare un solo pasto nella giornata, meglio se dopo il tramonto, ma bisognava nutrirsi alternativamente, compensare una carenza con un altra sostanza: la parola di Dio e l’elemosina, come insegnano – tra i tanti - Sant’Ambrogio e Sant’Agostino.
Dunque l’astensione dal cibo è sempre unita all’ascolto e alla meditazione della parola di Dio, alla preghiera e all’amore generoso verso coloro che hanno bisogno. In questo senso San Pietro Crisologo afferma: «Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia» (11).
Nel IV secolo prende corpo anche l’organizzazione del tempo della Quaresima per i catecumeni e per i penitenti. Questo viene proposto e vissuto come cammino di preparazione alla rinascita pasquale nel Battesimo e nella Penitenza (12) e quindi è orientato verso il Triduo pasquale, centro e cardine dell’anno liturgico che celebra l’intera opera della redenzione e che costituisce l’itinerario privilegiato di fede della comunità cristiana (13). Per questo San Leone Magno può dire che il vero digiuno quaresimale consiste «nell’astenersi non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati». (14)

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